Dieci cose imperdibili a Bologna.

Quando giro in una città, che sia in Italia o all’estero, ciò che mi piace fare di più è cercare un posto (o più di uno) in cui riesca a sentirmi a mio agio. Non importa che io sia seduta su una panchina, su una sedia o a terra, o che stia semplicemente passeggiando. Così, se vi trovate in città e non ci siete ancora stati, o se siete solo di passaggio, ecco quali sono, a mio parere, i posti che vale la pena non perdersi.
Non essendo capace di dare un ordine di gradimento crescente alla mia lista, proporrò i luoghi così come mi vengono alla mente.

  • L’ARCHIGINNASIO di Piazza Galvani è un luogo quasi mistico per me. Gli affreschi, le scale d’accesso alla biblioteca, il laboratorio anatomico, le statue…Ogni volta che entro in questo palazzo sono rapita dal fascino delle sue bellezze storiche e artistiche e giro in tondo come in chiesa, col silenzio di un umile fedele.
  • L’ORTO BOTANICO di Via Irnerio scoperto per caso in un giorno alla ricerca di un po’ di verde tra il cemento. Oltre all’orto vero e proprio legato all’Università di Bologna che può essere visitato, c’è anche un giardino piuttosto selvaggio con delle panchine dove ci si può dimenticare per qualche minuto di essere in città.
  • ZENZERO e il FRAM sono invece rispettivamente un ristorantino e un cafè dove mi sento sempre come a casa mia. Sono il posto ideale anche per i vegetariani e chi cerca qualcosa di diverso, ma di qualità. I tavolini, le sedie e l’arredo del FRAM mi ricordano un giardino in campagna delle nonne con quei bellissimi colori pastello e non so perché mi evocano alla mente giorni passati all’estero.
  • L’ANGOLO tra Via Castiglione e Via Farini dove appare sulla sinistra il palazzo della Farmacia Alberani. Se siete fortunati ad avere il sole in una giornata di inverno come ieri, quando i raggi solari attraversano i mattoni tutto sembra colorarsi d’improvviso di una tinta irripetibile anche dal più bravo dei pittori.
  • Sebbene Bologna sia per antonomasia la città con i PORTICI, di cui molti decorati o affrescati, i miei preferiti sono quelli di Piazza Cavour che si trovano proprio accanto alla Banca d’Italia. Non riesco a passare di là senza alzare la testa e rallentare l’andatura.
  • IL PALAZZO CARISBO in Piazza del Francia è da mozzare il fiato. E i lampioni che illuminano una delle sue facciate che sono sotto i portici sono di una bellezza disarmante.
  • SALA BORSA è sicuramente il mio posto preferito a Bologna. Dovunque io mi trovassi nel mondo, ne ho sempre sentito la nostalgia. Oltre all’enorme quantità di libri, guide, riviste, DVD, documentari, quotidiani che si può trovare al suo interno, è uno spazio che accoglie tutti: dai più giovani ai più anziani. Passeggiando si sente gente parlare qualunque lingua e si scorge sempre qualcuno, seduto su una poltrona, che si è addormentato con il libro sul petto. (Comunque la cosa più bella sono le sedie che si trovano in piazza coperta!)
  • PIAZZA SANTO STEFANO per quanto sia stata pavimentata con i sassi più dolorosi del pianeta è davvero bellissima. Circondata dalle sue chiese e i suoi palazzi vecchi e quei negozi-bottega dove tutto sembra essersi fermato a qualche decennio fa.
  • IL CHIOSTRO della Basilica di San Francesco è uno di quei luoghi di cui mi sono innamorata in un giorno di sole. Saranno stati i colori e l’azzurro del cielo, ma penso sempre di ritornarci, anche solo per dare uno sguardo.
  • I PORTICI verso San Luca a cominciare da Porta Saragozza. Diciamo che per chi vive a Bologna, o chi ci passa, rappresentano una tappa obbligata. Non si può andar via senza essere stati a San Luca e soprattutto non bisogna imbrogliare, ci si va a piedi! Oltre al percorso, che è molto bello da fare, in cima si gode davvero di una vista unica sulla città. Poi, per chi ne preferisce una altrettanto bella, ma “alternativa”, a me piace molto anche andare ai 300 scalini. Gli alberi, il prato, qualche gatto in giro e natura semi-selvaggia per spegnere il cervello.

Sono già arrivata a 10 e ancora non ho parlato dei Giardini Margherita, di Via Castiglione, di piazza San Domenico, delle torri nascoste, di Piazza Maggiore, delle vetrine dei negozi in via degli Orefici, delle bancarelle in via Pescherie vecchie e delle mille botteghine che adoro. Comunque spero di avervi fatto venire voglia di fare un giro, soprattutto oggi che c’è il sole!

Perché è difficile vivere con i bolognesi.

Ormai è un dato di fatto. Dopo aver sfatato il mito sui toscani e la onnicomprensibilità del loro dialetto, credo sia giusto dare a ognuno il suo e stavolta mi occuperò del bolognese.

Quando, da matricola, mi sono trasferita a Bologna per studiare, ignoravo la realtà delle parlate altrui e, sebbene fossi conscia del fatto che esistessero altri dialetti, non immaginavo che nel parlare comune potessi ritrovarmi a sbigottire così tanto spesso. Perché, in effetti, ciò che tradisce nel centro-nord d’Italia è che le persone affermano di non conoscere e non saper parlare il dialetto, ma usano comunque modi ed espressioni che sono tipicamente regionali, anzi direi provinciali e che cambiano repentinamente ogni 20km e forse meno.

Una delle mie prime esperienze è avvenuta al citofono.Suonano e io chiedo: “Chi è?”, ma da sotto mi rispondono: “Scusi, mi dà il tiro?” Per un attimo resto lì, con la cornetta attaccata all’orecchio e temo di non aver capito bene, quindi dico: “cos’è che devo darle?” “il tiro, il tiro…mi apre il portone?” Aaah, beh, ma bastava dirlo subito!

Poi vengono delle amiche di mio fratello, chiacchierano e dicono “sì, che figata, insieme si fa ‘balotta’!” Sì, ovviamente.
Poi, la stessa amica, torna il giorno dopo e dice “guarda, ti devo raccontare, ho trovato una gran bazza!”
Un po’ incompresa e sola nel mio mondo continuo a non capire, e per peggiorare la situazione mi fanno: “certo che hai un bel bulbo!”. E a continuare: “tal dèg”, “sa dit?”.
Un altro grande momento è stato quando, ignara, sono entrata in una panetteria e vedendo che un cartello ne riportava la scritta, ho chiesto al panettiere: “Scusi, ma cosa vuol dire socmel?”
La mia vendetta, allora, è cominciata il giorno dopo, quando ho cominciato a interpellare i bolognesi e gli emiliani in genere e a chiedergli di ripetere parole come “ragazzi”, “zanzara”, “zuzzurellone”. La loro verve si è spenta nell’assenza di sonorità delle fricative.
Dopo quattro anni, ora so che in balotta si è in compagnia e la bazza è un grande affare, ho cercato di imparare le espressioni più comuni e mi sono piegata dal ridere quando di recente, parlando con una mia amica autoctona, le ho detto che la mia parola preferita in bolognese è “bulbo” per dire capelli, ma lei mi ha guardata stupita e mi ha detto: “ma dai, perché? non è italiano?”

A ognuno il suo.

Campagna VS Città: le vecchine

Tornata in città dopo le vacanze natalizie comincia la mia diatriba interna su dove sia meglio vivere, se in campagna o nella metropoli. Nelle mia rassegna personale sulle differenze, i pro e i contro, alla fine ho trovato quale sia l’elemento che più differenzia le due.E no, non sto parlando del paesaggio ovviamente diverso, né tantomeno dei vantaggi degli spazi verdi, o della comodità dei mezzi pubblici, quello che più mi ha colpita sono state le vecchine.

Le donne anziane delle città sono completamente diverse da quelle di campagna! Sarà che io ricordo nonne e vecchiette d’altri tempi, ma quelle che ho conosciuto nella mia vita sono o erano donne semplici, raramente agghindate, rilassate e sagge, magari parecchio chiacchierone, anzi sicuramente. L’esistenza della donna anziana di campagna ruota intorno (maggiormente) ai nipoti, i figli, la preparazione di cibi da servire o da cedere alla famiglia e la chiesa. Poi magari ci sono le amiche superstiti, il ballo per chi può ancora permetterselo e le brevi passeggiate. Mi ispirano calma, serenità, la gioia di una vita goduta seppure nelle ristrettezze di ogni tipo.
Poi torno qui, in città, e lo scenario si ribalta.
Queste nonne senza nipoti sono vispe e arzille. Non aspettano che sia tu a cedere il posto nei mezzi pubblici, ma te lo chiedono o se lo prendono e basta. Pretendono il massimo rispetto in tutti i luoghi, ma data la veneranda età si sentono giustificate in tutto ciò che fanno: ti passano davanti con gran nonchalance in qualunque tipo di fila, che sia alla posta o al supermercato, e quando tu gli vorresti almeno lanciare un’occhiata fulminante, loro fanno lo sguardo da signora innocente, rannicchiata nel suo cappottino sgualcito di lana e allora tu hai pena e la lasci passare perché potrebbe tirare le cuoia prima di arrivare allo sportello per pagare la bolletta.
E che dire, poi, di quelle donne anziane un po’ sorde, un po’ rintronate, che passano delle ore alle casse facendosi ripetere tutto circa dieci volte e che cercano di intrattenere discorsi amichevoli con gli addetti? Per quanto ti renda triste pensare che non abbiano nessun altro con cui parlare se non un impiegato, non ce la fai proprio a non aver voglia di inveirgli contro.
Un’altra categoria di vivacità senile è rappresentata dalle vecchine in bicicletta. Trovo che loro siano davvero le peggiori che si possano incontrare. Sono coloro che se ti vedono camminare sotto i portici i bici sono in grado di maledirti in qualunque modo alle spalle, invitandoti a vergognarti per ciò che stai facendo, ma la stessa vecchina la ribecchi un’ora dopo sulla sua magnifica Graziella lucidata a nuovo e silenziosissima che sfreccia sotto il portico e ti suona anche col campanello per incitarti a spostarti prima che ti colpisca.
Infine, ce ne sono delle altre che mi ricordano ancora una volta Pirandello e il suo umorismo: le nonne impellicciate.
Quelle lì conservano pelli di mammuth puzzolenti di naftalina che mettono anche se non è poi così freddo e se ne vanno in giro per la città tirate a lucido con rossetto e smalto rosso, borse di pelle equina firmate e tacco alto, ma non troppo. Hanno lo sguardo all’insù come il loro naso e sembrano guardarti dal basso verso l’altro, così quando tu le incontri mentre tenti di fare un trasloco da una città all’altra con le tue valigie pesantissime sapendo benissimo di stare entrando dalla porta sbagliata dell’autobus, loro ti guardano con disprezzo, ma insomma, è inutile farmelo notare sostenendo che i giovani di oggi non sono più quelli di una volta, spostati piuttosto!
Insomma, magari non sembra, ma io le vecchine le adoro. Trovo che siano come un porta-gioielli all’interno del quale sono nascosti mille preziosi monili rappresentati dai ricordi, ma diciamocelo, la furbizia e l’astuzia non hanno età e talvolta si pretende che l’età giustifichi i mezzi, perciò ecco il mio appello: vecchine di tutto il mondo siate gentili e non trasformatevi in streghe da Biancaneve!

Perché è difficile vivere al Sud.

Da qualche anno mi sono trasferita al “nord” e dopo aver vissuto in 3 Paesi diversi il mio stile di vita è probabilmente cambiato, per questo mi ritrovo, ogni volta che torno a casa, a stupirmi per delle cose che mi lasciavano indifferente (o quasi), quando ero ancora una liceale.
Vivere al Sud non è semplice. E non è solo per via della crisi che ha ridotto posti di lavoro già scarsi e neanche per la mafia, la camorra e altre forme di illegalità organizzata, anche la quotidianità è complessa a causa di quella che io credo sia una forma mentis completamente diversa e che molto spesso ignora le sue contradditorietà.
Al Sud, o perlomeno nella mia regione, tutti (o quasi) hanno almeno 2 o 3 compari, quegli amici o pseudo tali che ti aiutano a sollevarti nel momento del bisogno, che sono presenti in salute e in malattia e che possono salvarti dalle situazioni più “complicate”. Uno ha bisogno di soldi, allora organizza un finto incidente per cercare di fregare l’assicurazione e recuperarci denaro. Il “trucco” della botta nel parcheggio, in fondo chi è che non l’ha mai fatto? Ma il compare è molto di più, è quello che conosce un amico che ha un amico che a sua volta ha un amico di un parente che può fargli il piacere di trovargli qualcuno che attraverso un imbroglio gli farà avere i canali satellitari quasi ‘aggratis’, pagando un obolo irrisorio. Poi c’è l’amico vero e proprio, che svolge più o meno le stesse funzioni del compare e che può farti godere di uno sconto in più per l’acquisto di un capo di abbigliamento, che può farti avere il pezzo di carne migliore in macelleria o indicarti i frutti e le verdure migliori al banco ortofrutticolo. L’amico è anche quello che chiama la fidanzata dell’altro per calmarla quando lei si arrabbia perché il suo uomo l’ha tradita e che fa da intermediario, talvolta sporcandosi anche le mani. Una palese prova d’amicizia è chiedere all’amico che ha un esercizio commerciale di farsi fare uno scontrino minorato sull’acquisto, anzi lo scontrino stesso è un affronto: “Dai, che fai? Mi fai lo scontrino?! Ma almeno fammelo di meno!”
Oltre alle forme di aggregazione, al Sud alcuni individui trovano normale depositare di notte rifiuti domestici sul bordo della strada, anche se fanno quel tragitto quattro volte al giorno e rivedranno le loro confezioni di biscotti, tonno e cereali fino al momento della loro parziale decomposizione. Tutto ciò avviene ANCHE SE c’è la raccolta differenziata porta a porta, ANCHE SE quegli scarti rimarranno lì per mesi, se non anni. A questi veri geni dell’ambiente si aggiungono quelli che trovano normale deturpare il patrimonio umanistico di una regione imbrattando marmi antichi quando ne sanno di storia dell’arte più o meno quanto me in materia di fisica quantistica. Altri ancora, i miei preferiti, sono quelli che cercano di far colpo sulle donne sgommando su una strada in centro col limite di 50km/h o che impennano e il peggio è quando ci riescono davvero. Per strada, comunque, molti superano loro stessi. Il clacson è un mezzo per salutare il compagno che è sul marciapiede, le strisce per il parcheggio sono un optional, ognuno fa la manovra come gli pare e come gli viene, le corsie destra e sinistra sono spesso confuse o comunque non rispettate, i motorini sono indipendenti: il sorpasso avviene ovunque ci sia spazio. Anche sul marciapiede.
Poi, per qualche strano motivo, nella mia regione, le persone non riescono a dialogare normalmente, ma devono farlo sempre gridando, bestemmiando, ululando parolacce. Nessuno riesce a discutere con l’altro se non in maniera violenta e aggressiva, un vero e proprio modello di incomunicabilità pirandelliana.
Per concludere esprimo la mia solidarietà, anche se con rabbia, a tutti quei lavoratori indipendenti e commercianti che in questa regione devono cedere una parte del loro guadagno a quei mafiosi e camorristi che vivono come parassiti sulle spalle di questa società impedendo la crescita e la risalita di regioni che avrebbero da donare al mondo più di interi Paesi.

Vivere al Sud è complesso, gli ingranaggi di queste terre sono unici e incomprensibili per chi non li conosce e non li ha visti da vicino, difficili da smantellare, impossibili da sradicare del tutto. La violenza, la volgarità, il menefreghismo che vedo mi feriscono e mi turbano perché quando sono lontana, circondata dal cemento, penso ai campi immensi e vasti e verdi, alle montagne, alle rocce, agli edifici antichi, alla storia dei briganti, al profumo della mia terra in gran parte malata, alla mia casa, il ‘nido sicuro’ e tutti quei luoghi conosciuti, molto spesso violentati. Trovo difficile dire che esista un posto più bello di quello dove sono nata e cresciuta, apprezzo che molto si sia conservato com’era e forse com’è sempre stato, eppure devo sempre ammettere che spesso, qualcuno “dall’alto” del suo potere, ma dal basso del suo essere nefando, è intervenuto e interviene in maniera inappropriata sui miei alberi, la mia terra, sulle ricchezze che i nostri antenati ci hanno lasciato. E rovina il passato, rendendo instabile il futuro.